TERZO GIORNO

Allo spuntar del giorno, appena il Sole brillante si fu alzato sopra le montagne per riprendere il suo posto, i miei bravi guerrieri cominciarono ad alzarsi dal letto ed a prepararsi gradualmente per la prova. Cosí entrarono uno dopo l'altro nella sala, ci salutarono e chiesero se avevamo dormito bene durante la notte. Vedendo i nostri legami, c'erano molti che si beffarono di noi, per esserci mostrati tanto scoraggiati, e per non aver puntato tutto sulla fortuna come loro; ma c'erano parecchi il cui cuore non smise di battere, i quali non alzarono tanto la voce. Ci scusammo per la nostra stupidità e esprimemmo la speranza di poter presto partire liberi e prendere questa beffa come lezione per il futuro, ma aggiungendo che loro non se ne sarebbero comunque andati liberi ancora, e che avevano forse il piú grande pericolo davanti a loro. Finalmente, quando tutti si furono radunati, si incominciò a suonare le trombe, come prima, e i tamburi di guerra, e noi pensammo che si sarebbe presentato senz'altro lo sposo; però ci sbagliammo. Era ancora una volta la Vergine del giorno prima, vestita interamente di velluto rosso, e cinta di un nastro bianco. Una verde corona di lauro adornava mirabilmente il suo capo. Il suo seguito era formato non piú da luci ma da circa duecento uomini con corazze, tutti vestiti di rosso e bianco come lei. Levatasi dal suo seggio, avanzò immediatamente verso di noi, e dopo averci salutati, ci disse brevemente: "Il severo signore è soddisfatto nel constatare che alcuni di voi si sono resi conto della loro miseria, cosí ne sarete compensati". E quando mi ebbe riconosciuto dal mio abito, rise e disse: "Anche tu ti sei sottomesso al giogo? Ed io che credevo che ti fossi tanto ben preparato!". Con queste parole, mi fece venire le lacrime agli occhi.

Ci fece quindi liberare e riunire a due a due, e ci fece stare in un posto dove potessimo vedere bene la Bilancia; poi aggiunse: "Potrebbe andare meglio per loro che per molti degli audaci che rimangono qui liberi". Nel frattempo, la Bilancia tutta d'oro fu sospesa al centro della sala e una piccola tavola fu coperta con del velluto rosso e furono posti sopra di essa sette pesi: il primo era abbastanza grosso e sopra a questo furono posti altri quattro piccoli, infine, a parte, altri due grossi. E relativamente al loro volume, questi pesi erano talmente pesanti come nessuno potrebbe crederlo o comprendere. La Vergine divise gli armati, di cui ognuno portava una corda al lato della sua spada, in sette gruppi, secondo il numero dei pesi, ed assegnò uno di ogni gruppo al suo peso; poi risalí sul suo trono sopraelevato. Subito dopo aver fatto un inchino, cominciò a parlare con voce forte:

"Chi ascende le scale della Pittura e senza saper nulla di come si dipinge ne parla con grande sicumera viene irriso da tutti.
Chi si addentra nell'ordine dell'Arte senza esservi stato eletto e pratica l'Arte con grande sfoggio, anche questi viene irriso da molti.
Chi si presenta alle Nozze senza esservi stato invitato, e vi arriva tuttavia con grande sfoggio viene anch'egli irriso da tutti.
Chi si inoltra comunque su questa strada avrà un peso che non potrà sopportare e subito verrà trascinato in basso per essere irriso da tutti".

Appena la Vergine smise di parlare, un paggio ordinò ad ognuno di prendere posto a seconda del suo rango e di salire (sul piatto della Bilancia) uno dopo l'altro. Al che, uno degli Imperatori non esitò e dopo aver fatto un inchino alla Vergine, montò col suo abito lussuoso. Poi ogni capogruppo depose il peso (nell'altro piatto) e a questi pesi, l'Imperatore resistette con grande meraviglia di tutti. Ma l'ultimo peso fu troppo pesante per lui, e lo sollevò, cosa che l'afflisse al punto che mi parve che la Vergine stessa ne avesse pietà, e fece anche segno ai suoi di tacere. Poi il buon Imperatore fu legato e consegnato al sesto gruppo. Dopo di lui si fece avanti un Imperatore che salí con fierezza sulla bilancia; e poiché aveva un grosso e spesso libro sotto il vestito, pensava che non gli sarebbe mancato il peso. Quando riuscí a mala pena a sopportare il terzo peso e fu gettato in aria senza misericordia dal seguente, lasciando cadere nello spavento anche il suo libro, tutti i soldati cominciarono a ridere ed egli fu legato e consegnato al terzo gruppo. Lo stesso successe a molti altri Imperatori, che vennero derisi e legati. Dopo questi avanzò un uomo basso, anche lui Imperatore, con una piccola barba castana crespa, e, dopo l'inchino formale, si mise anche lui sulla Bilancia. Egli resistette sino alla fine, e cosí fermamente che a mio giudizio avrebbe resistito ancora ad altri pesi, se ce ne fossero stati. La Vergine si alzò subito, s'inchinò davanti a lui e lo fece vestire con un abito di velluto rosso. Infine gli presentò anche delle corone di lauro, che aveva sul suo seggio, e gli disse di sedersi sui gradini del seggio.

Sarebbe troppo lungo raccontare cosa successe a tutti gli altri Imperatori, Re e Signori, ma non devo omettere di comunicare che ben pochi di questi capi resistettero, benché molte virtú nobili fossero trovate in loro, tutto al contrario delle mie aspettative. L'uno poteva sopportare un peso, l'altro un altro. Molti ne sostennero due, tre, quattro o cinque, ma pochi arrivarono alla vera perfezione. Chi venne trovato manchevole, fu assai deriso dai gruppi. La prova dei nobili e dei dotti essendo finita, ed essendo stati trovati fra loro uno, talvolta due giusti, e spesso nessuno, fu finalmente la volta dei monsignori ingannatori, degli adulatori, dei fabbricanti della panacea universale. Furono posti sulla Bilancia con tali dileggi che, nonostante il mio dolore, quasi mi scoppiò la pancia dal ridere, e cosí pure i prigionieri non potevano trattenersi dalle risa. Ad essi per la maggior parte non fu neppure accordato un giudizio severo, ma furono cacciati dalla Bilancia a colpi di frusta e di bastone, e condotti al loro gruppo insieme con gli altri prigionieri. Cosí pochi ne rimasero da un gruppo tanto grande che io mi vergogno di rivelarne il numero. Fra gli eletti c'erano anche persone di alto rango, e le une come le altre furono onorate con un vestito di velluto e con un ramo di lauro. Quando poi la prova fu completamente finita e nessuno altro stava ai lati oltre a noi poveri cani incatenati a due a due, un capitano si avanzò e disse: "Signora, se non dispiace a Sua Grazia, desideriamo pesare questa gente che ha riconosciuto la propria mancanza di comprensione; e ciò senza rischio per loro, ma per nostro piacere soltanto; forse esiste qualcosa di buono anche tra loro".

Dapprima n'ebbi grande pena, poi, nella mia afflizione, ebbi almeno la consolazione di pensare che non avrei dovuto subire tanta vergogna o essere cacciato dalla Bilancia a colpi di frusta. Non dubitavo, infatti, che molti dei prigionieri avrebbero preferito aver passato dieci notti nella sala con noi. Poiché la Vergine diede il suo consenso, fummo liberati e posti su uno dopo l'altro. Benché i piú fallissero, non furono derisi né frustati, ma messi di lato in pace. Il mio compagno fu il quinto, e resistette cosí bene che molti ed in particolare il capitano che aveva supplicato per noi, lo esaltarono e gli fu reso grande onore dalla Vergine, secondo l'usanza. Dopo di lui, altri due volarono ancora una volta in aria. Io ero l'ottavo. Quando, tutto tremante, salii sulla Bilancia, il mio compagno che era già seduto lí nel suo velluto mi guardò amichevolmente e la Vergine stessa sorrise un po'. Io resistetti a tutti i pesi: la Vergine diede l'ordine di impiegare la forza per sollevarmi e tre uomini fecero forza ancora sull'altra parte della Bilancia; ma invano.
Subito uno dei paggi si alzò e gridò con voce tonante: "E' Lui!". E un altro aggiunse: "Che goda dunque della sua libertà!".

La Vergine annuí, e dopo che fui ricevuto con le dovute cerimonie, mi si autorizzò a liberare uno dei prigionieri a mia scelta. Non dovetti riflettere molto per scegliere il primo Imperatore, che mi faceva pena da tanto tempo, il quale fu liberato e messo fra noi con tutti gli onori.

Quando anche l'ultimo fu messo sulla Bilancia, per il quale però i pesi furono troppo pesanti, la Vergine si accorse delle rose rosse che avevo staccato dal mio cappello e che tenevo in mano, e le chiese graziosamente per mezzo del suo paggio e io gliele diedi volentieri.
Cosí questo primo atto finí alle dieci della mattina; dopodiché si cominciò ancora una volta a suonare le trombe, che erano sempre per noi invisibili.
Nel frattempo i gruppi con i loro prigionieri dovettero andarsene, in attesa di giudizio. Il consiglio fu formato dai cinque capitani e da noi, e fu stabilito e richiesto alla Vergine, nella sua qualità di presidentessa, che ognuno volesse dare la sua opinione su come avremmo dovuto agire nei confronti dei prigionieri. La prima opinione era che avrebbero dovuto tutti essere condannati a morte, l'uno piú duramente dell'altro, poiché avevano avuto l'ardire di presentarsi malgrado le condizioni chiaramente richieste. Altri volevano tenerli prigionieri. Ma queste proposte non piacevano né a me né alla presidentessa.
Alfine, la cosa fu decisa dall'Imperatore che avevo liberato, da un principe, dal mio compagno e da me: i primi, Signori di alto rango, sarebbero stati condotti fuori del castello con discrezione; altri avrebbero potuto essere congedati con piú disprezzo; i seguenti si sarebbero potuti spogliare e mettere fuori nudi; i quarti sarebbero stati frustrati dalle verghe e cacciati dai cani; quelli che ieri avevano rinunciato di loro volontà avrebbero avuto il permesso di andarsene senza dover nulla scontare. Infine, gli audaci e quelli che si erano comportati tanto vergognosamente al pasto del giorno precedente, sarebbero stati puniti con la tortura o la morte, a seconda della gravità del loro comportamento. Questa opinione piacque alla Vergine e fu accettata definitivamente: si accordò un pasto ai prigionieri, cosa che fu subito loro annunciata. Il giudizio fu rimandato alle dodici del pomeriggio. Qui il consiglio finí.

La Vergine si ritirò con i suoi nel suo luogo abituale; a noi fu assegnata la tavola piú alta della sala con la richiesta che ci accontentassimo di questo finché l'affare non fosse completamente finito: poi saremmo stati subito condotti dalle Loro Altezze gli sposi; ragion per cui vedevamo volentieri passare il tempo. Nel frattempo i prigionieri furono ricondotti nella sala e ognuno fu messo al tavolo a seconda del suo stato, e ricevette la raccomandazione di comportarsi piú decentemente del giorno prima; ma questa esortazione era superflua perché avevano perduto la loro arroganza. E posso affermare, non per adulazione ma per amore della verità, che in genere le persone di rango elevato sapevano rassegnarsi meglio a questo scacco imprevisto perché il loro trattamento era abbastanza duro ma giusto. Non potevano però vedere i servitori che invece a noi erano visibili, cosa di cui ero molto contento.

Ma sebbene la fortuna ci avesse favoriti, non ci consideravamo tuttavia superiori agli altri, ma parlavamo con loro e li esortavamo a farsi animo dicendo che non sarebbe andato loro troppo male. Essi avrebbero voluto conoscere la sentenza da noi, ma eravamo tenuti al silenzio in modo che nessuno di noi poteva informarli. Tuttavia facevamo del nostro meglio per consolarli e bevemmo con loro nella speranza che il vino li rendesse piú allegri.
Il nostro tavolo era coperto di velluto rosso e le coppe erano d'oro e d'argento; cosa che gli altri vedevano con grande meraviglia e grande pena. Prima che noi avessimo preso posto a tavola, entrarono i due paggi e onorarono ciascuno da parte dello sposo con l'Ordine del Toson d'Oro, che portava l'immagine di un leone volante, pregandoci di ornarcene a tavola. Ci esortarono di mantenere nel dovuto modo la reputazione e la gloria dell'Ordine (che Sua Maestà ci mandava adesso e che avrebbe confermato con la dovuta solennità), cosa che noi accettammo con il piú grande rispetto, impegnandoci ad eseguire fedelmente tutto quello che piacesse a Sua Maestà di ordinarci.

Inoltre, il nobile paggio aveva una lista delle nostre posizioni, e io non cercherei di nascondere la mia se non temessi di essere tacciato di orgoglio, vizio che non può tuttavia superare il quarto peso. Poiché noi eravamo trattati magnificamente chiedemmo ad uno dei paggi se ci era permesso di mandare da mangiare discretamente ai nostri amici e conoscenti, e poiché non aveva niente in contrario ognuno fece portare abbondantemente da mangiare ai suoi conoscenti per mezzo dei servitori, sempre invisibili a loro.
Siccome loro non sapevano da dove veniva volli io stesso portare ad uno qualcosa, ma appena mi alzai uno dei servitori mi si avvicinò dicendo che voleva avvertirmi amichevolmente che se uno dei paggi mi avesse visto, il Re ne sarebbe stato informato, cosa che mi avrebbe danneggiato; ma siccome nessuno oltre a lui mi aveva visto, non mi avrebbe tradito. Tuttavia nel futuro avrei dovuto tener piú conto del mio Ordine. Con queste parole il servitore mi spaventò talmente che quasi non mi mossi piú dalla sedia per molto tempo. Lo ringraziai per il benevolo avvertimento il meglio che potei, nell'ansia e l'angoscia del momento.
Subito dopo cominciarono a suonare le trombe alle quali eravamo già abituati perché sapevamo bene che era la Vergine, e perciò ci preparammo a riceverla. Essa apparve sul suo trono con il consueto cerimoniale, preceduta da due paggi che portavano il primo una coppa d'oro e l'altro una pergamena. Dopo essersi levata con grazia dal trono prese la coppa dal paggio e ce la consegnò nel nome del Re, dicendo che era stata portata da parte di Sua Maestà e che noi avremmo dovuto farla circolare in suo onore. Sul coperchio della coppa era rappresentata in oro la Fortuna, eseguita con arte perfetta; essa teneva in mano un piccolo vessillo rosso spiegato. Io bevvi un po' tristemente perché la perfidia della Fortuna mi era ormai abbastanza conosciuta.

La Vergine era decorata con il Toson d'Oro e il Leone: io presumevo dunque che doveva essere la Presidentessa dell'Ordine, e perciò le chiesi il nome dell'Ordine stesso. Lei rispose che non era ancora tempo di svelarlo, finché non fosse eseguita la sentenza nei confronti dei prigionieri, i quali avevano ancora gli occhi bendati. E quello che era successo a noi sarebbe stato soltanto un affronto e uno scandalo per loro, sebbene fosse poco in confronto con l'onore che noi dovevamo aspettarci. Dopo, ricevette la pergamena divisa in due parti dalle mani del secondo paggio, e lesse pressappoco quanto segue al primo gruppo: "Dovete riconoscere che avete creduto troppo facilmente a dei libri falsi e menzogneri; che vi siete creduti troppo meritevoli e allora siete arrivati in questo castello, dove però non siete stati mai chiamati. Anche se la maggior parte di voi si presentò per divertirsi e per poi vivere con maggior pompa e splendore, vi siete comunque incitati l'uno con l'altro e siete finiti in tale derisione e vergogna che avete meritato di soffrire una punizione adatta per tutto questo".
Ed essi lo confessarono con umiltà e le diedero la mano.
Poi parlò severamente agli altri, pressappoco come segue: "Voi avete ben saputo ed eravate convinti nella vostra coscienza di avere scritto libri falsi e menzogneri, di aver preso in giro ed ingannato il vostro prossimo e cosí di aver abbassato l'onore regale agli occhi di tutti. Non ignoravate di quali figure empie ed ingannatrici avete fatto uso. E non avete risparmiato neppure la Trinità Divina per ingannare tutto il mondo. Ma ora le pratiche da voi impiegate per intrappolare i veri invitati e per sostituire loro degli insensati, sono scoperte. E tutti sanno che vi siete compiaciuti nella prostituzione, nell'adulterio e nell'ubriachezza e negli altri vizi che sono contrari all'ordine pubblico di questo regno. Insomma, sapevate di aver abbassato la Maestà Regale anche agli occhi della gente comune, perciò dovete riconoscere che siete dei notori e provati ingannatori, adulatori e scellerati che meritano di essere divisi dagli uomini onesti e di essere puniti severamente". I nostri bravi artisti non erano molto d'accordo con tutto questo; poiché però non solo la Vergine li minacciava di morte, ma anche quelli dell'altro gruppo li accusavano violentemente e si lamentavano tutti insieme di essere stati condotti nell'oscurità da loro, riconobbero le accuse con grande pena per evitare dei mali maggiori; tuttavia chiesero che, per quanto era successo, non venissero trattati con troppa severità, poiché Signori che avevano voluto entrare nel castello avevano promesso loro molto denaro per questo e quindi ognuno si era fatto furbo per ricavarne qualcosa e cosí erano arrivati al punto che era adesso evidente. Ma per il fatto che non erano riusciti, non avevano demeritato piú che i Signori. Come tali i Signori avrebbero dovuto comprendere che uno avrebbe potuto entrare lí sicuramente se non avesse scalato le mura con loro con tanto pericolo per un guadagno da poco. Inoltre, i loro libri erano cosí venduti che in pratica non si riusciva a trovare in commercio altro che prontuari di inganni. Speravano e chiedevano insistentemente che, se si voleva dare un giudizio equo, cosa che era giusta per loro come per i Signori, non dovevano ricevere un cattivo trattamento. Con queste parole, e altre simili, cercavano di scusarsi. Fu loro data la risposta seguente: Sua Maestà Reale ha stabilito di punire tutti: ma gli uni più duramente che gli altri; le ragioni che invocavano erano in effetti in parte vere: e perciò niente sarebbe stato risparmiato ai Signori. Ma quelli che avevano spontaneamente proposto i loro servigi, e quelli che avevano ingannato gli ignoranti contro la loro volontà, dovevano prepararsi a morire. E la stessa sorte sarebbe stata riservata a quelli che avevano leso la Maestà Reale con falsi libri, come loro stessi potevano convincersi ripensando alle loro proprie opere e scritti.
Allora ci fu da parte di molti un lamentarsi, un piangere, un supplicare, un pregare e un prosternarsi assai penosi, che però rimasero senza effetto. Io mi chiedevo con meraviglia come la Vergine poteva rimanere cosí ferma, poiché la loro miseria ci ispirava pena infinita e tormento, e ci faceva piangere e provare commiserazione. Poi ella mandò il suo paggio a cercare tutti gli armati che si erano schierati vicino alla Bilancia. Si ordinò loro di prendere ciascuno il suo prigioniero e di condurli tutti in fila nel grande giardino, ogni armato con un prigioniero. Io mi meravigliavo per il modo in cui ognuno riconosceva tanto abilmente il proprio. Poi i miei compagni della notte furono autorizzati ad uscire liberamente nel giardino, per assistere all'esecuzione della sentenza. Appena tutti furono usciti, la Vergine scese dal suo trono e ci invitò a sederci sui gradini e assistere al giudizio. Noi obbedimmo senza indugio, abbandonando tutto sulla tavola, eccetto la coppa che la Vergine ordinò ad un paggio di conservare, ed uscimmo fuori con i nostri abiti splendenti sul trono che avanzava da solo cosí dolcemente che ci sembrava di librarci nell'aria; arrivammo in tal modo nel giardino e ci alzammo tutti.

Il giardino non era molto decorato, ma a me piaceva il modo in cui erano disposti gli alberi; inoltre c'era una fontana deliziosa decorata di meravigliose figurazioni, di iscrizioni e di segni strani, di cui parlerò nel prossimo libro, a Dio piacendo. Era stato elevato nel giardino un anfiteatro in legno con tende dipinte intorno ad esso. C'erano quattro ripiani l'uno sopra l'altro; il primo era il piú splendido, ed era coperto da una tenda di taffetà bianco in modo che non potevamo vedere in quel momento chi c'era dietro. Il secondo era vuoto e scoperto, e gli altri due erano ancora una volta coperti di questa pesante seta, rossa e blu.

Quando fummo vicini a questo edificio la Vergine s'inchinò profondamente, cosa che ci impressionò molto, perché questo significava chiaramente che il Re e la Regina non erano troppo lontani. Quando avemmo fatto la stessa riverenza come dovuto, la Vergine ci condusse attraverso una scala a chiocciola al secondo ripiano, dove essa prese il primo posto e gli altri conservarono il loro ordine. Se non temessi le cattive lingue, potrei raccontare adesso come si comportò nei miei confronti l'Imperatore che avevo liberato, tanto in quel momento come prima a tavola; perché si rendeva facilmente conto in che pena sarebbe stato aspettando il giudizio in derisione, mentre ora, grazie a me, era pervenuto a questa dignità.

Nel frattempo apparve la Vergine che mi aveva portato l'invito, e che non avevo più vista dopo di allora; diede un segnale di tromba e aprí la seduta con voce squillante:
"Sua Maestà Reale, il mio signore altissimo, avrebbe desiderato di tutto cuore che i qui presenti fossero apparsi soltanto se forniti delle qualità da lui richieste per adornare in grande numero, in Suo onore, la sua festa nuziale. Ma poiché Dio onnipotente ha disposto altrimenti, Sua Maestà non doveva protestare, ma attenersi agli usi antichi e lodevoli di questo reame, benché questo non gli fosse gradito. Tuttavia affinché la clemenza della Sua Maestà venisse celebrata nel mondo intero, egli, con l'aiuto dei consiglieri e dei rappresentanti del regno, ha stabilito di mitigare sensibilmente la sentenza abituale: non solo è sua volontà risparmiare la vita ai Signori e ai governanti, ma anche lasciarli andare liberi. Sua Maestà vi comunica dunque la sua preghiera amichevole di rassegnarvi senza alcuna collera a non poter assistere alla festa in suo onore, di riflettere che Dio onnipotente vi ha già concesso una dignità, che tuttavia non siete stati capaci di portare con serenità e sottomissione, e che, d'altronde, l'Onnipotente divide i suoi beni secondo pensieri inconoscibili. Ugualmente, dovete riflettere che la vostra reputazione non sarà diminuita dal fatto di essere esclusi dal nostro Ordine, perché non è dato a tutti di compiere tutte le cose. Invece, i cortigiani perversi che vi hanno ingannati non rimarranno impuniti. Inoltre, la Sua Maestà vi fa dono di un Catalogo delle eresie e di un Index expurgatorium, affinché d'ora in poi voi stessi possiate distinguere con maggiore comprensione il bene dal male. Infatti, Sua Maestà intende riesaminare tra poco le vostre biblioteche e sacrificare a Vulcano gli scritti ingannatori, desiderando che vi poniate al servizio della vostra Santa Vergine e di Dio. Chiede perciò a ciascuno di voi di agire con i suoi soggetti in modo da reprimere tutto il male e l'impurità. Egli vi esorta, inoltre, a non chiedere mai sconsideratamente di tornare perché non varrebbe piú come scusante l'essere stati ingannati con conseguente rischio di essere derisi e disprezzati da tutti. Infine, siccome ogni governatore può chiedere qualcosa ai suoi soggetti, la Sua Maestà spera che nessuno di voi si rifiuterà di pagare la propria libertà con una catena o qualunque altra cosa abbia con sé, e che ciascuno voglia partire da noi in amicizia e tornare ai suoi col nostro appoggio. Sua Maestà non desidera lasciar partire tanto facilmente gli altri, che non hanno resistito al primo, terzo e quarto peso; ma poiché la sua clemenza venga sentita anche da loro, la loro punizione sarà di essere svestiti interamente e poi rinviati.

"Quelli che sono risultati piú leggeri dei pesi due e cinque, oltre a venir spogliati saranno anche segnati con due o più marchi, a seconda del peso dimostrato.
"Quelli che sono stati sollevati dai pesi sesto e settimo e non dagli altri, verranno trattati con meno rigore, e cosí via: è stata stabilita una punizione precisa per ogni combinazione, che sarebbe troppo lungo raccontare qui.

"Quelli che ieri si sono messi in disparte volontariamente, possono andarsene liberi senza nessuna punizione.

"Infine quelli che si sono dimostrati ingannatori, non avendo controbilanciato alcun peso, saranno puniti con la morte mediante l'impiego, a seconda dei loro crimini, della spada, la corda, l'acqua o le verghe; e l'esecuzione avrà luogo irrevocabilmente per l'esempio degli altri".
Con questo la prima Vergine spezzò il suo bastone; poi la seconda Vergine, che aveva letto il giudizio, suonò la sua tromba e si avvicinò con grande riverenza a quelli che erano dietro la tenda.

Non posso omettere qui di rivelare al lettore qualcosa circa il numero dei prigionieri: quelli che avevano sostenuto un peso erano sette, quelli che ne avevano sostenuti due, ventuno; per tre ce n'erano trentacinque; per quattro, trentacinque; per cinque, ventuno; per sei, sette. Per sette pesi non ce n'era che uno, il quale era stato sollevato a stento, ed era l'Imperatore che avevo liberato; quelli che erano stati sollevati facilmente erano un grande numero. Quelli che avevano lasciato cadere tutti i pesi a terra erano meno numerosi.
E cosí ho contato e notato con cura sulla mia tavoletta i gruppi che erano divisi davanti a noi. Ed è da meravigliarsi che fra tutti quelli che avevano pesato qualcosa, nessuno era di un peso uguale all'altro; infatti, benchè ve ne fossero trentacinque che avevano resistito a tre pesi, uno aveva resistito al primo, secondo e terzo, un altro al terzo, quarto e quinto, un altro ancora al quinto, sesto e settimo e cosí via, di modo che era una meraviglia che fra centoventisei che avevano pesato qualcosa, nessuno era uguale all'altro, e vorrei avere la possibilità di nominare tutti con i loro pesi se non mi fosse ancor oggi vietato; ma spero che questo sarà rivelato con la sua interpretazione nell'avvenire.
Dopo la lettura di questa sentenza i Signori della prima categoria erano molto soddisfatti, perché, dopo questa prova rigorosa, non avevano osato sperare in una punizione cosí leggera. Perciò dettero ancora piú di quello che si domandava loro e si riscattarono con dei gioielli, dell'oro, dell'argento, infine tutto quello che avevano con sé e si congedarono con una riverenza.

Sebbene si fosse proibito ai servitori reali di prendersi gioco di loro durante la partenza, parecchi non poterono trattenere il riso; e in realtà era molto divertente vedere con quanta fretta essi si allontanavano senza guardarsi indietro. Alcuni chiesero che si facesse pervenire loro il Catalogo promesso, affinché potessero regolare la questione dei libri secondo il desiderio di Sua Maestà Reale, cosa che fu di nuovo promessa loro.
Sotto il portone si porse a ciascuno una coppa colma della bevanda dell'oblio, affinché potessero dimenticarsi di quegli incidenti.

Essi furono seguiti da coloro che si erano ritirati prima della prova; li si lasciò passare a causa della loro franchezza ed onestà, ma si ordinò loro di non presentarsi mai più in tale condizione. Tuttavia, quando avessero raggiunto una comprensione piú profonda essi sarebbero stati come gli altri dei convitati benvenuti.

Durante questo tempo altri venivano svestiti, e anche qui si facevano delle distinzioni secondo i crimini di ciascuno: gli uni venivano rinviati tutti nudi, senza nessun'altra punizione; altri furono mandati fuori al suono di scampanellate; altri ancora furono cacciati a colpi di frusta. Insomma, le loro punizioni furono troppo varie perché io possa parlare di tutte.
Fu infine la volta degli ultimi; la loro punizione richiese piú tempo, perché prima che gli uni fossero impiccati o decapitati, annegati o giustiziati in qualche altro modo, ci volle un bel po'. Durante queste esecuzioni non potei trattenere le lacrime, non tanto per pietà - in tutta giustizia essi avevano meritato la punizione per i loro crimini - ma in vista della cecità umana che ci porta senza posa a preoccuparci innanzitutto di quello che in noi è stato marchiato dal peccato originale.

E ben presto il giardino che prima rigurgitava di gente si vuotò al punto che non restarono altri che i soldati.

Dopo questi avvenimenti si fece un silenzio che durò cinque minuti. Allora un bel liocorno, bianco come la neve, con intorno al collo una collana d'oro sulla quale erano incise delle lettere, si avvicinò alla fontana, e, piegando le gambe anteriori, si inginocchiò come se volesse onorare il leone che si teneva in piedi sulla fontana stessa. Questo leone, che in ragione della sua immobilità completa mi era sembrato di pietra o di bronzo, prese subito una spada nuda che teneva sotto i suoi artigli e la spezzò a metà; mi sembrò che i due frammenti cadessero nella fontana. Poi non cessò di ruggire, finché una colomba bianca gli portò un ramoscello d'olivo che teneva nel suo becco, e che il leone inghiottí subito, cosa che gli rese di nuovo la calma. Allora il liocorno ritornò gioioso al suo posto.
Un istante dopo, la nostra Vergine ci fece discendere dal giardino attraverso la scala a chiocciola e noi ci inchinammo ancora una volta davanti alla tenda; poi ci ordinò di lavarci coll'acqua della fontana sulle mani e sulla testa e di rientrare nelle nostre file dopo questa abluzione, finché il Re si fosse ritirato nei suoi appartamenti attraverso un corridoio segreto. Ci si riportò allora dal giardino alle nostre camere con grande solennità e al suono di una musica strana, mentre noi ci intrattenevamo in lodevoli conversazioni. E questo avvenne alle quattro del pomeriggio.

Per aiutarci a passare il tempo, la Vergine diede ad ognuno di noi un paggio nobile, che non solo era vestito con magnificenza, ma era anche meravigliosamente istruito e perciò poteva discorrere con tanta arte di tutte le cose, che noi ci vergognavamo di noi stessi. Si era ordinato loro di farci visitare il Castello (ma solo certe parti) e per quanto possibile di distrarci tenendo conto dei nostri desideri.

Nel frattempo, la Vergine si congedò promettendoci di riapparire per il pasto della sera; si sarebbe celebrata, subito dopo, la cerimonia della sospensione dei pesi; in seguito ci pregava di pazientare fino all'indomani, perché soltanto all'indomani saremmo stati presentati al Re.

Dopo che ci ebbe lasciati, ciascuno di noi fece quello che gli piaceva di piú. Un gruppo guardava le belle tavolette che erano state mostrate loro, e pensava al senso dei caratteri meravigliosi; altri si rifocillavano con cibi e bevande. Quanto a me, mi feci condurre in giro per il castello insieme con il mio compagno dal paggio e non rimpiangerò per tutta la mia vita di aver fatto quel giro perché senza parlare delle molte splendide antichità che vidi, mi furono mostrate anche le tombe dei re, dove imparai piú di quanto esiste in tutti i libri mai scritti. Proprio lí si trova la fenice meravigliosa, sulla quale ho scritto un piccolo libro due anni fa. Ho l'intenzione di pubblicare anche dei trattati speciali concepiti secondo lo stesso piano e nello stesso stile (se questo mio racconto porterà frutti) sul leone, l'aquila, il falcone e il grifone.

Mi dispiace soltanto che gli altri miei compagni abbiano mancato un tesoro cosí prezioso, e devo pensare che tale è stata la volontà particolare di Dio. La maggior parte delle cose le ho potute gustare per mezzo del mio paggio, perché ogni paggio conduceva ciascuno a seconda del suo Ingegno, e perciò nei posti e ai fini che piacevano a lui. Al mio paggio era accordata la chiave di tutto questo e perciò mi era concessa questa felicità prima di tutti gli altri. Chiamò anche gli altri: ma essi pensavano che le tombe dei re non potevano trovarsi altro che nel cimitero, dove avrebbero avuto tempo di recarsi in seguito, se per caso vi fosse stato qualcosa da vedere. Tuttavia, i monumenti visti, di cui noi due abbiamo preso copia esatta, non resteranno segreti ai miei discepoli piú grati.

L'altra cosa che ci fu mostrata era la splendida biblioteca; essa era tale e quale era esistita prima della Riforma. Benché il mio cuore ne gioisca tutte le volte che ci penso, di questa voglio dire meno perché i cataloghi appariranno ben presto. Vicino l'entrata della sala si trova un grosso libro, quale non ne avevo mai visti; questo libro contiene la riproduzione di tutte le figure, sale e porte, nonché delle iscrizioni e degli enigmi riuniti nel castello intero. Benché abbiamo promesso di svelare qualcosa anche di ciò, per il momento aspetto che mondo impari a comprendere meglio. In ogni libro c'è un dipinto dell'autore. Molti di questi, come mi parve di capire, saranno bruciati per farne sparire il ricordo stesso dalla memoria della gente per bene.
Quando terminammo la visita, e appena fummo usciti, arrivò correndo un altro paggio e dopo aver detto qualcosa nell'orecchio del nostro ricevette da lui la chiave e scese la scala a chiocciola con essa. Il nostro paggio era impallidito, e poiché noi lo interrogavamo con insistenza, ci fece sapere che la S.M.R. non voleva che nessuno visitasse la biblioteca e le tombe e perciò ci supplicò di conservare il segreto, per salvargli la vita, perché aveva già negato il nostro passaggio in questi luoghi. A tali parole fummo presi da spavento e insieme da gioia; ma il segreto fu conservato; nessuno d'altronde si preoccupò di chiederlo, anche se avevamo passato tre ore in ogni posto, cosa di cui non mi sono pentito.
Erano già suonate le sette, tuttavia non eravamo stati ancora chiamati a tavola. Ma la nostra fame era compensata da costanti ristori, e a simile regime io digiunerei volentieri per tutta la vita.

Nel frattempo ci furono mostrate le fontane, le miniere e tutti i tipi di studi, di cui non ve n'era uno che da solo non superasse tutta intera la nostra arte. Tutte le stanze erano costruite in un semicerchio, in modo che chi le occupava potesse avere davanti agli occhi il prezioso Orologio costruito su una bella torre regolabile a seconda del corso dei pianeti, e che faceva splendida mostra di sé. Qui ancora una volta potevo capire facilmente quello che manca ai nostri artisti, sebbene non sia mio compito istruirli.
Infine, giunsi ad una grande sala (che era già stata mostrata agli altri da tempo) nel centro della quale era un Globo Terrestre il cui diametro misurava trenta piedi, benché quasi la metà, eccetto una piccola parte che era coperta dai gradini, fosse sotto terra. Due uomini potevano far girare facilmente questo globo con tutta la sua attrezzatura, in maniera che non si poteva mai vedere quello che era al di sotto dell'orizzonte. Mi accorsi facilmente che doveva avere un uso speciale, tuttavia non riuscivo a capire a cosa servissero i piccoli anelli d'oro che erano attaccati in molti posti. Questo fece ridere il mio paggio, che mi invitò a guardare attentamente. Insomma, trovai che la mia patria era segnata in oro. Allora il mio compagno cercò anche la sua e la trovò, e poiché questo si verificò anche per altri che erano lí, il paggio ci spiegò che ieri era stato dimostrato alla Sua Maestà Reale che tutti i punti dorati corrispondevano con grande precisione ai paesi che ognuno degli invitati aveva indicato come sua patria, perciò quando aveva visto che io non avevo osato tentare la prova, e che però c'era un anello d'oro sulla mia patria, si era messo d'accordo con il capitano di chiedere che ci si pesasse in ogni caso, perché la patria di uno di noi aveva un buon segno. Egli, essendo il paggio che aveva più potere fra tutti, fu destinato a me per caso ed io ero molto grato per questo; esaminai poi piú diligentemente la mia patria, e trovai che vicino all'anello c'erano anche dei bei raggi. E non dico questo per avere la fama o la gloria.

Vidi ancora su questo globo molte cose che non voglio svelare: ognuno deve capire per conto proprio perché ogni Stato non ha il suo Filosofo.

In seguito ci condusse all'interno del globo. Questo fu fatto nel modo seguente: sul mare, dove si trovava un grande spazio vuoto, c'era una lastra che portava tre dediche e il nome dell'Autore; questa placca si poteva alzare facilmente e si poteva entrare su un asse flessibile nel centro dove c'era spazio per quattro persone e dove non c'era niente altro che un ripiano rotondo sul quale potevamo sederci, e avremmo potuto contemplare bene le stelle in pieno giorno (adesso era già buio). A mio parere erano diamanti che brillavano tutti nel loro ordine e seguivano il loro corso in modo tanto bello che quasi non volevo uscirne piú, cosa che il mio paggio raccontò poi alla Vergine che mi prese spesso in giro a questo proposito.

Era già l'ora di mangiare e mi ero tanto invaghito di stare nel globo che fui quasi l'ultimo ad arrivare a tavola. Perciò non tardai piú, e quando ebbi indossato ancora una volta il mio vestito, che mi ero tolto prima, andai a tavola. I servitori mi dimostrarono tanta reverenza ed onore che, confuso, non potei alzare gli occhi e, senza accorgermi, passai davanti alla Vergine che mi attendeva; cosa della quale lei si accorse subito, mi prese per l'abito e mi condusse a tavola.
Descrivere piú ampiamente la musica e gli altri splendori lo ritengo inutile, perché non solo mi mancano le parole ma non saprei aggiungere niente alla lode che ne ho fatto prima. Insomma, tutto era arte e bellezza. Dopo esserci raccontate le nostre attività del pomeriggio (benché della biblioteca e dei monumenti non si parlasse) e già eravamo allegri per il vino, la Vergine cominciò a dire: "Cari signori, ho una grossa lite con mia sorella. Nella nostra stanza abbiamo un'aquila che teniamo con una tale diligenza che ciascuna vuole essere la sua preferita e abbiamo frequenti discussioni a questo proposito. Un giorno decidemmo che sarebbe appartenuta a quella alla quale avesse dimostrato piú affetto. Poi accadde questo. Io portai come d'abitudine un ramoscello di lauro in mano, ma mia sorella non ne aveva alcuno. Quando essa ci vide, portò subito a mia sorella un ramoscello che aveva nel becco e chiese invece il mio che io le diedi. Adesso, ciascuna di noi crede di essere la preferita. Come devo comportarmi?". Il quesito, presentato con modestia dalla Vergine, piacque a noi tutti e ognuno avrebbe voluto sentire la soluzione. Ma tutti guardavano me e chiedevano che dessi per primo il mio parere, ma io ero cosí confuso che non potevo far altro che proporre un altro al suo posto e parlai come segue: "Signora, sarebbe facile rispondere se non fossi preoccupato di un'altra cosa. Avevo due compagni, e tutti e due mi amavano senza misura. Ora, poiché erano in dubbio circa quale dei due amavo di piú, decisero di correre verso di me senza essere annunciati, e quello che avrei ricevuto per primo sarebbe stato il prescelto. Fecero così, ma uno di loro non riuscí a seguire l'altro, cosí rimase indietro e piangeva, ed io ricevetti l'altro con meraviglia. Quando essi mi svelarono l'affare non seppi decidermi, e allora ho dovuto rimettere la mia decisione, cercando di trovare un buon consiglio". La Vergine si meravigliò a questo e, compreso bene cosa volessi dire, rispose: "Bene, siamo pari". Poi domandò agli altri la soluzione, ma io li avevo resi piú pieni di spirito e uno cominciò come segue: "Nella mia città una vergine fu recentemente condannata a morte, ma poiché il giudice ne ebbe pietà, fece proclamare che se ci fosse qualcuno che voleva entrare in lizza per lei (per provare la sua innocenza con un combattimento) gli sarebbe stato permesso. Ora, lei aveva due amanti. Uno si armò subito e si presentò nel campo per aspettare un avversario. Subito dopo l'altro vi penetrò ugualmente, ma poiché era arrivato troppo tardi pensò di combattere comunque e di lasciarsi vincere perché la vergine avesse la vita salva. Alla fine del combattimento, ognuno voleva averla. E ditemi, signori, a chi appartiene?". La Vergine a questo punto non poté contenersi piú e disse: "Io pensavo di imparare molto, ma ecco che sono presa nella mia stessa rete, vorrei sentire se qualcun'altro prenderà la parola".
"Certo", rispose un terzo. "Non è mai stata raccontata avventura piú straordinaria di quella che mi è successa. Nella mia gioventú, amavo una giovane onesta, e perché il mio amore raggiungesse il suo fine dovetti servirmi dell'aiuto di una vecchia che finalmente mi condusse a lei. Successe che i fratelli della vergine ci trovarono nel momento stesso in cui eravamo insieme tutti e tre. Essi si arrabbiarono tanto che volevano uccidermi. Ma poiché li supplicai, dovetti infine giurare di prendere ognuna di esse come mia moglie per un anno. Ditemi signori, dovevo cominciare con la vecchia o con la giovane?".
Questo enigma ci fece ridere molto, e benché molti sussurrassero fra di loro nessuno voleva pronunciarsi.
Infine cominciò il quarto: "In una città abitava una donna onesta e nobile, amata da tutti, ma in particolare da un giovane signore; poiché egli diveniva troppo pressante, essa lo informò che se l'avesse condotta in pieno inverno in un bel giardino verde, colmo di rose, gli avrebbe concesso quello che chiedeva. Altrimenti non doveva mai piú ripresentarsi. Il gentiluomo percorse tutto il mondo alla ricerca di un uomo capace di realizzare il desiderio, finché finalmente trovò un vecchio che gli promise di farlo se gli avesse concesso la metà dei suoi beni. Accordatisi su questo punto, il vecchio eseguí. Allora il galante invitò la dama a venire nel suo giardino, e contro la sua speranza, essa lo trovò tutto verdeggiante, gaio e piacevolmente temperato, e si ricordò della sua promessa. Chiese solo di andare un'ultima volta da suo marito al quale si lamentò - della sua disgrazia piangendo e sospirando. Ma poiché egli aveva avuto abbastanza prova della sua onestà, la rimandò dal suo amante che l'aveva guadagnata a un tal prezzo, perché lo accontentasse. L'onestà di questo marito commosse il gentiluomo, che temeva di peccare toccando una donna tanto onesta e cosí la rimandò con onore a suo marito. Quando il vecchio conobbe la probità di tutti e due, risolse di rendere tutti i beni al gentiluomo e se ne andò, malgrado la sua povertà. Ora io non so, cari signori, quale di queste persone abbia dimostrato maggiore onestà". Questo ci fece tacere tutti. Anche la Vergine non volle rispondere, e chiese se un altro volesse continuare.
Il quinto cominciò dunque come segue: "Cari signori, non voglio farla lunga. Chi è più gioioso, quello che contempla l'oggetto che ama, o colui che ci pensa soltanto?". "Quello che lo contempla", disse la Vergine. "No", risposi io, e si accese una discussione, quando il sesto disse: "Cari signori, io devo prendere moglie, e ho di fronte a me una vergine, una donna sposata e una vedova. Aiutatemi a risolvere il mio problema e dopo vi aiuterò a risolvere il vostro".

Il settimo rispose: "Va già bene se uno puo scegliere, ma per me è diverso. Nella mia gioventù amavo dal fondo del mio cuore una vergine bella ed onesta e lei ricambiava il mio amore. Tuttavia, non potevamo unirci onestamente a causa del rifiuto dei suoi parenti. E perciò lei sposò un altro che era ugualmente retto ed onesto e la circondò di rispetto e di amore finché giunse il momento del parto. Ma allora essa si ammalò tanto che tutti pensarono fosse morta, e cosí venne messa nella bara con grandi spese e con grande afflizione. Ora, io pensai che siccome non avevo potuto possedere questo essere nella vita, potevo almeno abbracciarla nella morte e baciarla al mio piacimento. Perciò mi feci accompagnare durante la notte dal mio servitore, che la dissotterrò. Quando ebbi aperto la cassa e l'ebbi presa nelle braccia, mi accorsi che il suo cuore batteva ancora e il movimento aumentava con il calore del mio corpo, finché ebbi la certezza che era ancora viva; la portai allora a casa in segreto e dopo aver scaldato il suo corpo raffreddato, per mezzo di un delizioso bagno di erbe, la affidai a mia madre, finché mise al mondo un bel figlio, che feci curare con tanta coscienza come la madre. Due giorni dopo le raccontai, con sua grande meraviglia, quello che era successo, e la pregai di restare d'ora in poi presso di me come mia sposa. Ella ne fu assai addolorata, dicendo che il suo sposo, che l'aveva sempre amata fedelmente, ne sarebbe stato molto afflitto, ma che a causa degli avvenimenti, l'amore la obbligava sia verso l'uno che l'altro. Dopo esser stato due mesi in viaggio, invitai suo marito e gli domandai quasi incidentalmente, se avrebbe ripreso sua moglie morta se essa fosse ritornata in casa. Egli rispose di sì, piangendo amaramente. Allora gli condussi sua moglie, insieme con il figlio; gli raccontai tutto quello che era successo e lo pregai di ratificare con il suo consenso la mia unione con lei. Dopo lunghe discussioni, dovetti rinunciare a contestare i miei diritti sulla donna, ma continuammo a litigare per il figlio".
Qui la Vergine intervenne con queste parole: "Sono meravigliata che tu abbia voluto raddoppiare l'afflizione di quell'uomo". "Ma come", rispose egli, "non ne avevo forse il diritto? " Questo accese tra di noi una discussione, e la maggior parte riteneva che egli avrebbe fatto bene a tenere il bimbo.
"No" disse, "gli ridiedi sia la donna che il figlio. Adesso ditemi, cari signori, cosa fu piú grande, la mia onestà o la gioia del marito?".
Queste parole piacquero talmente alla Vergine che essa fece circolare la coppa in onore dei due. Seguirono poi altri racconti un po' piú ingarbugliati, che non ricordo tutti; peraltro ne rammento un altro ancora. Uno di noi disse che aveva visto un medico che aveva comperato della legna per scaldarsi con essa tutto l'inverno; ma quando era tornata la primavera aveva rivenduto questa stessa legna, trovando cosí modo di usarla senza pagarla.
"Questo è avvenuto per arte", disse la Vergine; "ma adesso non abbiamo più tempo. In effetti, colui che non sa risolvere tutti gli indovinelli mandi a chiedere le soluzioni a qualcuno per mezzo del suo messaggero. Non credo che glielo si rifiuterà".
Poi si mise a dire le benedizioni dopo il pasto, e ci levammo tutti da tavola, piuttosto soddisfatti e piú contenti che sazi. E augurerei che ogni festino ed ogni banchetto venisse condotto nello stesso modo. Dopo aver camminato su e giú per la stanza, la Vergine chiese se avevamo voglia di iniziare il matrimonio. Uno di noi rispose: "O, certo, Vergine nobile e virtuosa".
Con questo, mandò in segreto un paggio e nel frattempo continuò a conversare con noi. Insomma, era tanto intima con noi che osai chiedere il suo nome. La Vergine sorrise alla arditezza, ma non ne fu seccata: "Il mio nome contiene per numero cinquantacinque, ed ha però soltanto otto lettere; la terza è una terza parte della quinta; se si aggiunge alla sesta, essa forma un numero la cui radice è già piú grande della prima lettera che non la terza stessa, ed è la metà della quarta. La quinta e la settima sono uguali e l'ultima è uguale alla prima, ed esse fanno con la seconda quanto possiede la sesta che non ha tuttavia che quattro in piú di quanto non ne possiede la terza tre volte. E ora, signori, ditemi quale è il mio nome?".

La risposta mi era abbastanza complicata, ma non rinunciai e domandai: "Vergine nobile e virtuosa, potrei ottenere una sola lettera?".

"Va bene" disse, "questo si può fare facilmente".

"Quanti ne ha allora la settima? " chiesi.

"Ne ha quanti sono i signori qui" rispose.

Questo mi bastava e trovai facilmente il suo nome. La Vergine si mostrò molto contenta e ci annunciò che molte altre cose ci sarebbero state svelate. Nel frattempo si erano preparate parecchie vergini che entrarono con grande solennità, precedute da due giovani, uno con il viso allegro, gli occhi chiari e di forme armoniose; l'altro aveva l'aspetto irritato e mi accorsi in seguito che bisognava che tutte le sue volontà si realizzassero. Erano seguiti dapprima da quattro vergini. La prima abbassava castamente gli occhi e i suoi gesti denotavano umiltà. La seconda era ugualmente una vergine casta e pudica. La terza ebbe un movimento di spavento entrando nella sala; avevo appreso che non poteva restare lí dove c'è troppa gioia. La quarta ci portò molti mazzolini di fiori come simbolo del suo amore e generosità. Dopo queste quattro ne venivano ancora due vestite piú riccamente, che ci salutarono con gentilezza. Una aveva un vestito blu con stelline d'oro; la seconda era vestita di verde con delle striscie rosse e bianche; ambedue avevano sulla testa dei veli fluttuanti che stavano loro molto bene.
Infine, venne tutta sola la settima vergine, che aveva una corona sulla testa e che guardava piuttosto verso il cielo che verso la terra. Noi credemmo tutti che fosse la sposa, ma questo era lontano dalla verità; tuttavia essa era piú nobile della sposa per gli onori, la ricchezza, il rango. Fu essa che d'allora in poi regolò il corso delle nozze. Noi imitammo la nostra Vergine, malgrado che si mostrasse molto umile e devota. Tese la mano ad ognuno e ci disse di non meravigliarci di questo favore, perché non era che uno dei suoi doni piú piccoli. Dovevamo innalzare gli occhi verso il nostro Creatore, e riconoscere la sua onnipotenza e perseverare nella via in cui ci eravamo impegnati usando tale grazia per la gloria di Dio e il bene dell'Umanità. Insomma, le sue parole erano del tutto diverse da quelle della nostra Vergine, che era un po' piú mondana; mi penetrarono fino al midollo. "E tu", disse, parlando rivolta a me, "hai ricevuto piú che gli altri; cerca allora anche di dare di piú".
Questo discorso mi sorprese molto, perché vedendo le vergini e i musicanti pensammo che dovevamo ballare, ma il momento non era ancora arrivato.
Ora, tutti i pesi di cui avevo parlato prima, erano ancora lí, perciò la Regina (o non so chi) ordinò ad ogni vergine di prenderne uno. Alla nostra Vergine però diede il suo, che era l'ultimo e il piú grosso, e ci ordinò di seguirla. Qui la nostra gloria si trovò un po' diminuita; perché io mi accorsi bene che la nostra Vergine aveva troppa gentilezza nei nostri confronti e che non eravamo stimati cosí tanto quanto cominciavamo quasi ad immaginarlo. Noi seguivamo dunque in ordine e fummo condotti nella prima stanza dove la nostra Vergine appese per prima il peso della Regina, e fu cantato un bel cantico. In questa sala non c'era di prezioso che alcuni bei libri di preghiera che sono essenziali in queste occasioni. In mezzo alla sala si trovava un inginocchiatoio e la Regina vi si inginocchiò e noi ci prosternammo tutti intorno a lei e ripetemmo la preghiera che la Vergine leggeva in uno dei libri per chiedere che le nozze si compissero alla gloria di Dio e per il nostro bene.

Dopo, entrammo in un'altra stanza dove la prima Vergine appese il suo peso e cosí di seguito finché tutte le cerimonie furono compiute. Allora la Regina tese di nuovo la mano e ciascuno e partí con le sue Vergini.


La nostra presidentessa rimase ancora un istante con noi, ma siccome erano già le due del mattino, non voleva intrattenerci piú a lungo. Mi sembrò che la nostra compagnia le piacesse. Ci salutò e ci raccomandò di passare la notte in tranquillità e si separò da noi amichevolmente, quasi controvoglia.

I nostri paggi avevano già le loro istruzioni e perciò condussero ognuno alla sua camera e, affinché potessimo farci servire in caso di bisogno, il nostro paggio riposava in un secondo letto installato nella stessa camera. Io non so come erano le camere dei miei compagni, ma la mia era ammobiliata regalmente e ornata di tappeti e quadri meravigliosi. Ma piú che altro preferivo la compagnia del mio paggio, che parlava con tanta eccellenza ed era versato in tante arti che mi portò via un'altra ora in modo che non mi addormentai prima delle tre e mezzo.

Questa era infatti la prima notte di tranquillità; tuttavia un sogno inopportuno non mi lasciava dormire a mio agio, perché durante tutta la notte mi accanivo su una porta che non potevo aprire, pur riuscendovi finalmente. Queste fantasie disturbarono il mio sonno finché mi svegliai verso l'alba.